L’uomo moderno sente spesso la necessità di un recupero del proprio tempo, quasi come se questo non facesse altro che scivolare via in attimi che, vuoti di consapevolezza, si susseguano senza alcuna poesia. Tornare a riappropriarsi della propria dimensione intima tramite l’indagine di se stessi è un’esigenza legittima e da perseguire, che l’arte può favorire in modo del tutto spontaneo. Trovarsi davanti alle opere di Ronak Moshiri significa avere la possibilità di immergersi in una dimensione narrativa necessaria per lo spirito, in una tradizione che dai tempi più lontani guida l’uomo oltre le immagini e le parole, per ricongiungerlo, attraverso queste, con la parte più vera e significativa della propria anima. Fine cantastorie, l’artista si fa tramite della tradizione persiana in modo del tutto contemporaneo, mantenendone intatta la profondità lirica e la capacità introspettiva. Il trattamento del fondo pittorico permette l’emergere delle figure da una dimensione che non è solo materica ma spirituale, in cui gli elementi formali trovino adeguata collocazione. Agendo sulla materia con digressioni spesso monocromatiche l’artista crea una dimensione atemporale, all’interno della quale le figure possano fluttuare trovando riparo da un’esteriorità che sembra loro non appartenere. L’indagine artistica è per l’artista analisi interiore: lo spazio di azione, delimitato da un gesto avvolgente e circolare, si irradia partendo dal centro con la potenza e l’immediatezza di un ricordo che emerga, una volta lanciato il sasso nella quiete superficie della memoria, lasciando aloni luminosi a definirne le forme. La parola giunge a completare l’impianto compositivo, con eleganti inserimenti di poesia visiva che permettono a elementi immateriali e concreti di unirsi, in un equilibrato incontro tra laicità e sacralità. Le figure emergono come da una visione mistica, il bello si manifesta in forme simboliche che, trovando posto sulla tela, ricordano a chi guarda l’importanza del sentimento come primo mezzo per ricongiungersi con il divino: l’apparizione si fa poesia, la poesia estasi, e i contorni delle figure sprigionano energia creatrice. Se la lirica è la lingua di un mondo invisibile di cui, secondo la tradizione persiana, chi scrive è sovrano, la pittura traduce in luce e ombra le sfumature dell’interiorità più segreta, linguaggio mistico e sacrale, capace di interpretare e tramandare l’esperienza arricchente dell’ignoto. Nel suo Mathnawi il poeta Rumi sostiene che le parole siano nidi e “i significati alate creature già in volo. I corpi sono come dei fiumi e lo Spirito è la loro calma corrente.” Nelle opere di Ronak Moshiri è riposta una serenità che, attraverso il gesto artistico, riconduce al confronto con il nostro intimo più vero e la priorità di riscoprirne l’essenza più autentica, rivelandoci nel contempo l’esistenza di un mondo salvifico che c’era una volta ma può e deve essere ancora parte integrante dell’esistenza dell’uomo.
Francesca Bogliolo
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